Veniva posta alla valutazione della Corte di Cassazione il problema di stabilire se sia compatibile col diritto comunitario l’art. 1227, comma primo, c.c., se interpretato nel senso di escludere o ridurre il diritto al risarcimento del danno di persona trasportata su un veicolo a motore condotto da persona in stato di ebbrezza. La Corte, con la sentenza n. 24920 del 17 settembre 2024, affronta la questione operando una ricognizione della normativa europea sul punto.
Segnala infatti che: “la materia dell’assicurazione r.c.a., è materia armonizzata a livello comunitario dalla Direttiva 2009/103/CE del 16 settembre 2009. Il XXIII Considerando di tale Direttiva ricorda che obiettivo del legislatore comunitario è includere tutte le persone trasportate nei benefìci assicurativi (salvo ovviamente il caso di circolazione consapevole su un veicolo di provenienza illegale), e che questo obiettivo “verrebbe posto a repentaglio se la legislazione nazionale o qualsiasi clausola contrattuale contenuta in un contratto di assicurazione escludesse dalla copertura assicurativa i passeggeri che erano a conoscenza, o avrebbero dovuto essere a conoscenza, del fatto che il conducente del veicolo era sotto gli effetti dell’alcol o di altre sostanze eccitanti al momento dell’incidente“. Il medesimo Considerando XXIII aggiunge che “un passeggero non è solitamente in grado di valutare in modo adeguato il livello d’intossicazione del conducente“, e che “l’obiettivo di dissuadere i conducenti dall’agire sotto gli effetti dell’alcol (…) non si raggiunge riducendo la copertura assicurativa dei passeggeri vittime di incidenti automobilistici”. Resta salva, però, la responsabilità dei passeggeri di veicoli condotti da persone in stato di ebbrezza “secondo la legislazione nazionale applicabile, nonché il livello del risarcimento per danni in un incidente specifico”. Coerentemente con tali previsioni, l’art. 13, ultimo comma, della Direttiva 2009/103 stabilisce che “gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché qualsiasi disposizione di legge o clausola contrattuale contenuta in una polizza di assicurazione che escluda un passeggero dalla copertura assicurativa in base alla circostanza che sapeva o avrebbe dovuto sapere che il conducente del veicolo era sotto gli effetti dell’alcol o di altre sostanze eccitanti al momento del sinistro sia considerata senza effetto per quanto riguarda l’azione di tale passeggero“.
La Corte rileva che, come precisato anche in dottrina, “il XXIII Considerando e l’art. 13 della Direttiva parrebbero norme intrinsecamente contraddittorie: infatti sembrerebbero da un lato imporre agli Stati membri il divieto di escludere dai benefici assicurativi coloro che siano trasportati su veicoli condotti da persone in stato di ebbrezza; e dall’altro “fare salva” l’autonomia degli Stati membri nel dettare le regole della responsabilità civile, ivi comprese quelle che possono comportare una corresponsabilità del trasportato nell’ipotesi suddetta“.
In realtà i Giudici di legittimità rilevano che tale: “antinomia è solo apparente, ed è stata già affrontata e sciolta dalla Corte di giustizia nella sentenza 30.6.2005, Candolin c. Vahinkovakuutusosakeyhtio Pohjola, in causa C-537/03, avente ad oggetto per l’appunto l’ipotesi di un sinistro stradale con esiti mortali in danno di persona trasportata da veicolo condotto da persona in stato di ebbrezza. In quel caso il giudice rimettente (la Corte Suprema finlandese) dubitò della conformità col diritto comunitario d’una normativa nazionale in materia di responsabilità civile che escludesse dai benefici assicurativi il trasporto, per il solo fatto di essere “salito a bordo di un veicolo, pur essendo stato in grado di rilevare che il rischio di incidente e di danni era più elevato del normale”. Con la sentenza sopra ricordata la Corte di Lussemburgo ha affermato due principi.
Il primo principio è che il diritto comunitario in tema di assicurazione della r.c.a. sarebbe “privato del suo effetto utile” in presenza d’una normativa nazionale che negasse al passeggero il diritto al risarcimento – ovvero lo limitasse in misura sproporzionata – “in base a criteri generali ed astratti” (par. 29).
Il secondo principio è che il diritto comunitario consente invece agli Stati membri di limitare il risarcimento dovuto al trasportato “in base ad una valutazione caso per caso” di circostanze eccezionali (par. 30). Pertanto, mentre contrasterebbe con l’art. 13 Direttiva 2009/103 una norma di diritto interno che escludesse o limitasse ipso facto il diritto al risarcimento del passeggero, per il solo fatto di avere preso posto a bordo d’un veicolo condotto da persona ubriaca, non viola per contro il diritto comunitario una norma di diritto nazionale che, senza fissare decadenze o esclusioni in linea generale, consente al giudice di valutare caso per caso, secondo le regole della responsabilità civile, se la condotta della vittima possa o meno ritenersi colposamente concorrente alla produzione del danno“.
Da tali principi discendono due corollari.
Il primo è che: “l’eventuale concorso colposo del passeggero alla concausazione del sinistro andrà accertato con giudizio sintetico a posteriori, e non con giudizio analitico a priori. Si tratterà dunque di vagliare, caso per caso, le condizioni della vittima e quelle del conducente; l’entità del tasso alcolemico; le circostanze di tempo e di luogo; la prevedibilità del rischio. Il residuo dubbio sulla prova della colpa della vittima ricadrà a sfavore del debitore, in quanto la colpa della vittima è fatto impeditivo od estintivo della pretesa attorea, e il fatto costitutivo della relativa eccezione va dimostrato da chi la solleva“.
Il secondo corollario è che: “l’eventuale concorso colposo di chi si lasci trasportare in automobile da un ubriaco, fondandosi su accertamenti di fatto, è riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità“.
La Corte di Cassazione, in conclusioni, enuncia i seguenti princìpi di diritto nell’interesse della legge:
(a) “l’art. 1227, comma primo, c.c., interpretato in senso coerente con la Direttiva 2009/103, non consente di ritenere, in via generale ed astratta, che sia sempre e necessariamente in colpa la persona la quale, dopo aver accettato di essere trasportata a bordo d’un veicolo a motore condotto da persona in stato di ebbrezza, rimanga coinvolta in un sinistro stradale ascrivibile a responsabilità del conducente. Una simile interpretazione infatti contrasterebbe con l’art. 13, par. 3, della Direttiva 2009/103, nella parte in cui vieta agli Stati membri di considerare “senza effetto”, rispetto all’azione risarcitola spettante al trasportato, “qualsiasi disposizione di legge (…) che escluda un passeggero dalla copertura assicurativa in base alla circostanza che sapeva o avrebbe dovuto sapere che il conducente del veicolo era sotto gli effetti dell’alcol”. Spetterà dunque al giudice di merito valutare in concreto, secondo tutte le circostanze del caso, se ed in che misura la condotta della vittima possa dirsi concausa del sinistro, fermo restando il divieto di valutazioni che escludano interamente il diritto al risarcimento spettante al trasportato nei confronti dell’assicuratore del vettore“;
(b) “l’accertamento della esistenza e del grado della colpa della persona che, accettando di farsi trasportare da un conducente in stato di ebbrezza, patisca danno in conseguenza d’un sinistro stradale, è apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se rispettoso dei parametri dettati dal primo comma dell’art. 1227 c.c.“.