La Corte di Cassazione, con la sentenza del 21 ottobre 2024 n.27246, torna a precisare i termini della responsabilità derivante dai danni cagionati da animali randagi. In particolare nella sentenza si indugia sulla qualificazione dell’animale come randagio o meno, a fronte della mancanza del previsto microchip. Se il Giudice di Pace aveva valorizzato tale circostanza per sciogliere positivamente la questione ritenendola “circostanza inusuale per un animale di affezione domestico“, il Tribunale la definiva insufficiente “a provarne la natura randagia” considerando che l’obbligo di dotare i cani di proprietà privata di microchip non determina l’osservazione della stessa da parte di tutti i proprietari dei cani rispettino tale obbligo.
La Corte rileva a tale proposito, rigettando il motivo di impugnazione, che lo stesso: “non svolge considerazioni dirette ad evidenziare sul piano dei caratteri della gravità e precisione, con opportuno ragionamento logico conforme all’operare del ragionamento presuntivo, l’idoneità della carenza di microchip a giustificare appunto quel ragionamento per desumere la qualità di randagi dei cani. Si limita a postulare che quel fatto noto avrebbe dovuto avere quella idoneità e lo fa semplicemente facendo riferimento alla circostanza che la legislazione regionale prevede che i cani di proprietà debbano avere un microchip ed essere anagrafati. Senonché, questo dato evidenzia ciò che il titolare del dominio sul cane dovrebbe fare, ma non giustifica che in presenza di cane privo di microchip un cane debba considerarsi randagio. Manca qualsiasi attività, che non sia l’evocazione della legislazione, idonea a giustificare sul piano della gravità e precisione l’assunto che, in forza dello stato legislativo, un cane senza microchip debba ritenersi randagio. La censura si colloca solo al livello di mero dissenso dall’apprezzamento di fatto conclusivo inerente l’attività del giudice del merito ed è inidonea a denunciare il vizio ai sensi dell’art. 2729 c.c. Tanto basta ad escludere che si sia in presenza di corretta censura in iure, senza che occorra osservare che l’id quod plerumque accidit evidenzia che spesso i titolari del dominio sul cane non provvedano agli adempimenti anagrafici“.