La questione, affrontata organicamente nella sentenza del 12 novembre 2024 n. 29232, è la seguente: viene violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato nell’ipotesi in cui alla domanda, formulata ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. o ai sensi di una tra le disposizioni di cui agli artt. 2047 ss. cod. civ. oppure ai sensi di una figura speciale di responsabilità prevista in una legge particolare, segue una sentenza che abbia fatto invece applicazione della disciplina contenuta in una disposizione diversa da quella invocata dalla parte, ritenendo di sussumere la vicenda nella relativa fattispecie?
Essa viene risolta: “alla luce della reciproca interazione tra il principio della domanda e il connesso onere di allegazione gravante sulla parte (art.99 cod. proc. civ.), i poteri decisori del giudice e i relativi limiti in base al principio dispositivo in senso materiale che attribuisce alle parti la disponibilità dell’oggetto del processo (art.112 cod. proc. civ.), il divieto di nova in appello (art.345 cod. proc. civ.) e la regola del giudicato (art.2909 cod. civ.)“.
Al riguardo la Corte prospetta tre possibilità: “1) il giudice applica la disciplina della responsabilità speciale in cui ritiene di sussumere la fattispecie (ad es. l’art. 2052 cod. civ.) in luogo dell’art. 2043 cod. civ. invocato dalla parte o, all’inverso, applica la disciplina generale prevista da questa norma in luogo di quella speciale invocata; in tale ipotesi si pone la questione se la sentenza sia viziata da ultrapetizione per violazione del principio dispositivo in senso materiale (art.112 cod. proc. civ.); 2) il giudice applica la disciplina invocata dalla parte (non quella diversa in cui la fattispecie sarebbe sussumibile) e rigetta la domanda; in tale ipotesi si pone la questione se l’attore, impugnando la sentenza di rigetto, possa dedurre per la prima volta in appello la sussumibilità della fattispecie in una diversa regola di responsabilità o se, qualora lo faccia, si determini una mutatio libelli, con conseguente domanda nuova – dunque inammissibile – in appello (art. 345 cod. proc. civ.); 3) il giudice applica la disciplina invocata dalla parte (non quella diversa in cui la fattispecie sarebbe sussumibile) e accoglie la domanda; in questa ipotesi se impugna il convenuto, contestando la sussistenza dei requisiti costitutivi della sua responsabilità alla stregua della norma di responsabilità applicata, si pone il problema se il giudice d’appello possa, in difetto di impugnazione dell’attore, officiosamente, applicare la diversa disposizione di responsabilità in base alla quale il convenuto sarebbe responsabile oppure se sia ormai sceso il giudicato sulla configurazione della domanda nei termini originariamente indicati dall’attore perché non impugnata (art. 2909 cod. civ.)“.
Le questioni sono state affrontate di recente dalla Corte di Cassazione in una serie di pronunce rese nell’ambito del contenzioso sulla responsabilità della pubblica amministrazione per i danni cagionati dalla fauna selvatica (Cass. Civ. n. 31335/2023, 31342/2023, 31350/2023, 34654/2023, 34675/2023; Cass., n. 17253/24). In relazione a detti casi la Corte ha affermato, tra gli altri, il principio di diritto secondo cui “lo stabilire se un fatto sia disciplinato dall’art. 2043 cod. civ. o dall’art. 2052 cod. civ., quando non vi sia mutamento dei fatti costitutivi della domanda, è questione dì individuazione della norma applicabile e non di qualificazione giuridica della domanda, e può essere prospettata per la prima volta anche nel grado di appello e persino in sede di legittimità“.
Il principio è stato affermato sulla base dei seguenti testuali rilievi, che ne costituiscono insieme il presupposto logico e il corollario giuridico: a) “non si deve parlare di qualificazione giuridica della domanda nell’ipotesi in cui, fermi i fatti accertati, il giudice deve decidere quale norma debba applicarsi ad una determinata fattispecie. In questa ipotesi, il concetto stesso di giudicato non può trovare applicazione poiché, in virtù del principio iura novit curia, è sempre consentito al giudice – anche in sede di legittimità – valutare d’ufficio, sulla scorta degli elementi ritualmente acquisiti, la corretta individuazione della norma applicabile“; b) “lo stabilire se la domanda debba decidersi applicando l’art. 2043 cod. civ. o l’art. 2052 cod. civ. costituisce, non già una questione di qualificazione giuridica della domanda (la quale resta invariata nell’uno come nell’altro caso: il risarcimento del danno da fatto illecito), bensì una questione di individuazione della norma applicabile, da risolvere in base al principio iura novit curia“; c) “l’individuazione della disciplina applicabile (ius) non comporta una immutazione della fattispecie (factum), la quale rimane cristallizzata in quella originariamente dedotta… ; pertanto, se, da un lato, nella scelta della regola applicabile, il giudice non pone in essere una qualificazione della domanda, ma esercita il proprio potere di rendere alla fattispecie la sua disciplina, dall’altro lato, nell’esercizio di questo potere, anche se svolto su sollecitazione della parte (che invoca l’applicazione di una disciplina più favorevole), il giudice medesimo non trova limite nel giudicato eventualmente formatosi sulla fattispecie poiché l’applicazione della regola speciale di cui all’art.2052 cod. civ., in luogo di quella generale di cui all’art.2043 cod. civ., non implica, nel caso concreto, una immutazione degli elementi di fatto costitutivi della fattispecie medesima, come dedotti ed accertati, ma soltanto un diverso giudizio sul riparto dell’onere della prova e, quindi, la correzione di un error in procedendo, come tale immune alla formazione del giudicato sostanziale“.
A fronte di ciò, la Corte nella sentenza in commento afferma i seguenti principi:
a) “il giudice del merito, nell’applicare le norme che regolano i diversi criteri di imputazione della responsabilità, attribuisce alla fattispecie, come allegata dall’attore e accertata in giudizio, la sua disciplina“;
b) “non si tratta quindi di qualificazione o delimitazione della domanda, ma di accertamento dei fatti posti a suo fondamento e della individuazione della disciplina giuridica cui quei fatti sono soggetti“;
c) “se, dunque, sulla base dei fatti allegati dall’attore e delle risultanze delle prove ritualmente acquisite, accerta, con motivato giudizio di merito, la sussistenza dei vari elementi costitutivi di una fattispecie, nel momento in cui individua la norma applicabile (di volta in volta, ad es., l’art. 2043 cod. civ., oppure l’art. 2051 cod. civ. oppure l’art. 2052 cod. civ. e via dicendo) il giudice non sta qualificando o circoscrivendo la domanda, ma sta rendendo alla fattispecie la sua disciplina“;
d) “da un lato, vi è l’accertamento della fattispecie sulla base dei fatti allegati e provati; dall’altro, l’individuazione della disciplina“;
e) “dunque, anche se l’attore invoca una certa disciplina, ben è possibile che il giudice ne applichi un’altra, se in essa ritiene sussumibile la fattispecie, come allegata e provata“;
f) “del pari, il giudicato si forma sulla fattispecie, non sulla disciplina, perché l’accertamento di cui parla l’art. 2909 cod. civ. attiene agli elementi costitutivi della fattispecie, cui consegue l’applicazione della relativa disciplina“;
g) “dunque, solo per cambiare l’accertamento della fattispecie è necessaria l’impugnazione, non per invocare una diversa disciplina a fattispecie invariata“;
h) “pertanto, è possibile nel grado successivo, senza che vi sia stata tempestiva impugnazione, invocare un’altra regola di imputazione della responsabilità rispetto a quella precedentemente applicata, se non cambiano gli elementi di fatto costitutivi della fattispecie“.
Nel caso in esame, si è esclusa che la sentenza impugnata presenti vizi, giacché i fatti posti a fondamento della domanda sono rimasti immutati tra il primo e il secondo grado, invocandosi sempre il risarcimento del danno derivante dall’aggressione, posta in essere sul fondo di proprietà della vittima, dai cani fuoriusciti dal confinante fondo di proprietà dei convenuti scavalcando la recinzione posta al confine. Provati – e persino incontroversi – questi fatti, il giudice d’appello, previo motivato (e pertanto insindacabile) giudizio di merito, diretto ad escludere la prova della custodia e a valutare l’inadeguatezza della recinzione, ha scelto la disciplina applicabile alla fattispecie, escludendo l’operatività di quella dell’art. 2052 cod. civ. (fondata su un criterio di imputazione oggettivo) e reputando invece applicabile quella di cui all’art. 2043 cod. civ., fondato sul criterio soggettivo della colpa.