E’ principio, consolidato, quello per cui il danno permanente futuro, consistente nella necessità di sostenere una spesa periodica vita natural durante (nella specie, per spese mediche e di assistenza a persona invalida permanente ), deve essere liquidato, ai sensi dell’art. 1223 c.c., stimando il costo presumibile delle prestazioni di cui la vittima avrà bisogno in considerazione delle menomazioni da cui è afflitta, rapportato alla durata presumibile dell’esborso e, quindi, per il numero di anni che lo stesso verrà sopportato (tra le altre: Cass. 11393/2019; Cass. n. 17815/2019; Cass. n. 13881/2020; Cass. n. 13727/2022; Cass. n. 16844/2023).
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 9 dicembre 2024 n. 31684 richiama tale principio, precisando che: “ai fini della liquidazione di detto danno, rileva non la speranza di vita media nazionale, ma, per l’appunto, la prognosi di durata della vita dello specifico soggetto danneggiato (per cui al criterio della “vita media” potrà farsi riferimento soltanto nel caso in cui non sia possibile una prognosi specifica sulla durata della vita del danneggiato medesimo” (cfr. Cass. n. 13727/2022; Cass. n. 11393/2019)
La Corte ha cura di precisare che: “tale principio non confligge con la diversa conclusione che, risulta pertinente al danno patrimoniale futuro da mancata remunerazione dell’attività lavorativa, poiché vengono in rilievo, secondo la distinzione posta dallo stesso art. 1223 c.c., danni diversamente caratterizzati. Nell’un caso (danno patrimoniale futuro da mancata remunerazione dell’attività lavorativa) si tratta di un “mancato guadagno” e, quindi, della perdita di una utilità futura che il danneggiato avrebbe acquisito se fosse rimasto in vita più a lungo e ciò gli è stato, però, impedito dall’illecito; nell’altro caso (danno patrimoniale futuro per spese di assistenza), si configura un “danno emergente” (così esplicitamente la citata Cass. n. 17815/2019), ossia un esborso che sarà necessario sostenere, ma soltanto finché si è in vita, per cui il sopraggiungere della morte, anche se per effetto dell’illecito, farà comunque cessare quella perdita patrimoniale, con la conseguenza che non sarà più apprezzabile l’esistenza di un danno risarcibile“.
Va, dunque, ribadito (e precisato) il seguente principio di diritto: “il danno patrimoniale permanente futuro consistente nella necessità di sostenere una spesa periodica vita natural durante è un danno emergente e, quindi, la relativa liquidazione, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve avere come parametro temporale di riferimento la durata presumibile dell’esborso e, quindi, il numero di anni per i quali lo stesso verrà sopportato“
La Corte poi individua il dies a quo di fini della decorrenza degli interessi moratori retroagisce alla data dell’illecito. Infatti: “ai sensi dell’art. 1219, comma secondo, n. 3, c.c., opera la mora ex re. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, tale regola non soffre alcuna eccezione nel caso in cui oggetto dell’obbligazione risarcitoria sia un importo liquidato a titolo di danno patrimoniale futuro: “infatti anche chi causa un danno futuro è in mora dal giorno del fatto illecito, ai sensi dell’art. 1219 c.c., per il pagamento del relativo risarcimento; tale mora andrà calcolata sul credito risarcitorio scontato e reso attuale, ma andrà pur sempre calcolata con decorrenza dalla data dell’illecito” (Cass. n. 18049/2017)“.
Dall’ammontare del danno subito e consistente nelle spese da sostenere vita natural durante per l’assistenza personale, deve sottrarsi il valore capitalizzato della indennità di accompagnamento che la vittima abbia comunque ottenuto dall’ente pubblico, in conseguenza di quel fatto, essendo tale indennità rivolta a fronteggiare ed a compensare direttamente il medesimo pregiudizio patrimoniale causato dall’illecito, consistente nella necessità di dover retribuire un collaboratore o assistente per le esigenze della vita quotidiana del minore reso disabile per negligenza al parto (Cass., S. U., n. 12567/2018).
Ciò premesso, varrà, quindi, considerare, alla luce del più recente e condivisibile orientamento che si è venuto a consolidare nella giurisprudenza di questa Corte (tra le altre: Cass. n. 20909/2018; Cass. n. 8866/2021; Cass. n. 7345/2022; Cass. n. 16808/2023; Cass. n. 2840/2024), che:
“a) l’eccezione di compensatio lucri cum damno è (come detto) un’eccezione in senso lato, configurandosi, quindi, come mera difesa in ordine all’esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato e, come tale, è rilevabile d’ufficio e il giudice, per determinare l’esatta misura del danno risarcibile, può fare riferimento, per il principio dell’acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio;
b) la compensatio non può operare qualora manchi la prova – di cui è onerata la parte che la eccepisce – che la somma sia stata corrisposta e tantomeno sia determinata o determinabile nel suo preciso ammontare;
c) sono, dunque, soggette a compensazione non soltanto le somme già percepite al momento della pronuncia, ma anche le somme da percepire in futuro, in quanto riconosciute e, dunque, liquidate e determinabili;
d) il giudice di merito può a tal fine anche avvalersi del potere officioso di sollecitazione presso gli uffici competenti e ciò, segnatamente, quando la percezione dell’indennizzo non sia negata“.