La Corte di Cassazione, con la sentenza del 2 gennaio 2025 n. 37, chiarisce nuovamente il principio “di chiarezza e sinteticità” del ricorso introduttivo.
Considera, a tale proposito, che: “prima dell’entrata in vigore della riforma del codice di rito recata dal D.Lgs. n. 149/2022 (riforma che, ratione temporis, non trova nella specie applicazione) – la quale ha introdotto espressamente i principi di chiarezza e di sinteticità degli atti processuali, sia in via generale (artt. 121 c.p.c. e 46 disp. att. c.p.c.), sia nello specifico del giudizio di legittimità (segnatamente, art. 366, primo comma, n. 3 e n. 4, c.p.c.; richiamato dagli artt. 370 e 371 c.p.c., rispettivamente, per il controricorso e per il ricorso incidentale) -, è stata la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 17698/2014; Cass. n. 21297/2016; Cass. n. 8009/2019; Cass. n. 8425/2020; Cass., S.U., n. 37552/2021; Cass. n. 3612/2022; Cass. n. 8117/2022; Cass. n. 4300/2023), nonostante l’assenza di un ancoraggio codicistico positivo (essendo questo presente solo per determinati segmenti processuali del processo civile telematico in base all’art. 16-bis, comma 9-octies, del D.L. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, nella legge n. 221/2012), a riconoscere come immanenti anche nel processo civile quei principi, assumendo gli stessi a paradigmi generali di forma e contenuto degli atti stessi e, segnatamente, del ricorso per cassazione.
Ed invero: “nella sua dimensione valoriale, la redazione del ricorso per cassazione con chiarezza e sinteticità espositiva è assurta, dunque, a dovere processuale, che impone alla parte di selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda controversa che sono a fondamento delle censure proposte, così da fornire alla Corte di cassazione una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate, per poi dare conto delle ragioni di critica nell’ambito della tipologia dei vizi previsti dall’art. 360 c.p.c. Già prima dell’avvento della riforma del 2022 e, quindi, della relativa codificazione, il dovere di chiarezza e di sinteticità dell’atto di impugnazione è stato inteso, dunque, come espressione di un principio generale dell’ordinamento processuale, orientato a tutelare il diritto di difesa e il contraddittorio (art. 24 Cost.), nonché funzionale – attraverso l’ottimizzazione dell’utilizzo stesso delle risorse disponibili (non illimitate) secondo un principio di proporzionalità – all’efficienza del processo e della giurisdizione, pur sempre nell’ottica dei principi fondamentali del giusto processo e della durata ragionevole dello stesso (artt. 111 Cost. e 6CEDU). Sicché, proprio in quest’ottica, divenuta ancor più consapevole e matura all’indomani della pronuncia della Corte EDU del 28 ottobre 2021 (Succi ed altri c/Italia), si è ritenuto che la violazione del dovere processuale di redigere il ricorso per cassazione in modo chiaro e sintetico non comporti, di per sé, la sanzione dell’inammissibilità dell’impugnazione; questa segue soltanto nel caso in cui il deficit di chiarezza e sinteticità determini la violazione dei requisiti di contenuto-forma stabiliti dall’art. 366 c.p.c., ossia là dove si riscontri una esposizione oscura o affatto lacunosa dei fatti di causa o tale da pregiudicare irrimediabilmente l’intelligibilità delle censure mosse alla decisione gravata. Ed è un orientamento questo che, nello scolpire le ragioni giustificative e le finalità dei principi in esame, ha rappresentato un punto di riferimento per il legislatore della riforma (come si evince dalla stessa Relazione illustrativa al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, in G.U. n. 245 del 19 ottobre 2022, p. 18), tanto da ergersi ad elemento ermeneutico particolarmente significativo nella lettura delle norme che, oggi, quegli stessi principi hanno recepito”.