La Corte di merito, rigettando la richiesta di risarcimento avanzata dai congiunti di un paziente deceduto, aveva dato atto in motivazione che fosse “pacifico” che nella vicenda in esame “si sarebbe dovuta eseguire una indagine diagnostica per immagini ed una consulenza cardiologica che avrebbero consentito di comprendere quale fosse la patologia in atto. (..) che tanto non venne fatto e che il paziente decedette al pronto soccorso senza che fosse stata posta in essere una diagnosi della patologia in atto” (pag. 5 della sentenza impugnata). Ha poi ritenuto doveroso accertare “se sostituendo alla condotta omissiva la condotta positiva che andava tenuta (esecuzione di Tac e consulenza cardiologica) il risultato (salvare la vita al paziente) sarebbe stato conseguito”, evidenziando che l’unico trattamento sanitario che avrebbe consentito alla vittima la sopravvivenza era l’intervento chirurgico di riparazione dell’aorta (la cui mortalità intraoperatoria e comunque del 25% dei pazienti), che se non eseguito, conduce alla morte entro le prime 24, il 35% dei pazienti, ed il 50% entro le 48 ore (con percentuale che aumenta dell’1 o 2% per ogni ora di ritardo dall’inizio della sintomatologia (pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata)“. La stessa Corte ha, inoltre, evidenziato che, per quanto dai Consulenti tecnici d’ufficio ritenuto, “raggiungendo Catania in elisoccorso “era possibile più probabile che non” scongiurare il decesso mediante l’esecuzione dell’intervento chirurgico” (pag. 10 della sentenza impugnata) e ancora che “nella struttura ospedaliera in cui si trovava il paziente c’erano le attrezzature per effettuare la tempestiva e corretta diagnosi. In tal modo i tempi per il trasferimento a Catania sarebbero stati più che sufficienti” (pag.11 della sentenza impugnata)”.
La Corte catanese aveva quindi considerato il fattore temporale e cioè il tempo che avrebbe richiesto l’effettuazione dei possibili esami strumentali non eseguiti (Tac), quello necessario ad ottenere i relativi risultati, ed infine, quello relativo all’eventuale trasporto in ambulanza, data l’assenza di elisoccorso presso la struttura di Avola, chiedendosi “Poteva tutto ciò avvenire entro le 21/21,20 (alle 21 si verifica la sincope; alle 21.20 l’arresto cardiaco)?“, dando atto che i CTU ” avevano risposto affermativamente” (pag. 12 della sentenza impugnata). Infine aveva affermato che “la prova controfattuale dell’esistenza del nesso di causalità tra omessa diagnosi e danno subito (o meglio aggravamento catastrofale del danno alla salute già esistente) non può dirsi raggiunta con la necessaria soglia di probabilità richiesta” (pag. 15 della sentenza impugnata).
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 29 gennaio 2025 n.212210, rileva un vero e proprio errore in iure commesso in ordine alla prova controfattuale posta in contrasto con le acquisite risultanze peritali, nonché una motivazione apparente e perplessa, emergente dal testo stesso della decisione.
Ed invero la Corte d’appello: “pur facendo riferimento ad un quadro probatorio asseritamente in grado di surrogare la carenza quasi assoluta della prova circa l’onere (che sarebbe spettato alla struttura) di provare l’esatto adempimento o la causa non imputabile dell’inesatta esecuzione della prestazione, apoditticamente utilizza gli elementi dai quali ravvisare tale carenza, per costruire un quadro probatorio e indiziario favorevole all’assenza di responsabilità della struttura medesima che finisce per identificarsi con le stesse carenze e inadempienze dalle quali avrebbe dovuto trarre, eventualmente, elementi, viceversa, di responsabilità della stessa.
Sotto tale profilo, la motivazione in quanto perplessa e meramente apparente si pone al di sotto del “minimo costituzionale”, concretando il vizio, debitamente denunciato con il motivo di ricorso, di nullità della sentenza; effettivamente, il trattamento chirurgico complesso ma avente una rilevante probabilità di riuscita, con sopravvivenza del 75% dei pazienti sottoposti, secondo i CTU entro le prime 24 ore, avrebbe dovuto condurre il giudice d’appello a chiedersi se, nel caso in esame, anziché mantenere il ricoverato in attesa per circa cinque ore e venti (dal momento del suo ingresso al Pronto Soccorso al momento dell’aggravamento irreversibile), nonostante la persistenza del dolore toracico da quegli accusato, la struttura sanitaria ove avesse tempestivamente indagato le cause dei sintomi del paziente, accertando la sussistenza della dissezione aortica in atto, il problema della mancanza di mezzi per l’eventuale trattamento chirurgico, ove pure esistente, sarebbe stato o meno superabile con il tempestivo trasferimento del paziente nel lasso di tempo considerato“