La questione attiene alla domanda di manleva che il medico aveva proposto avverso la sua assicurazione. Quest’ultima, sin dall’inizio, aveva eccepito che la polizza non poteva operare a causa della reticenza dell’assicurato, che non aveva tempestivamente comunicato la possibilità di una azione nei suoi confronti.
Il giudice di primo grado aveva ritenuto che non vi fossero prove del fatto che, dopo l’intervento, il medico poteva sospettare che gli facessero causa per danni. Invece, la Corte di Appello aveva deciso il contrario: il medico doveva essere consapevole che gli avrebbero fatto causa, in quanto la donna era uscita dai due interventi in gravi condizioni, e la circostanza che la paziente fosse poi morta in un diverso ospedale non era indicativa del contrario in quanto quell’ospedale orbitava nella medesima ASL, circostanza questa che faceva presumere che la notizia della morte fosse nota anche al medico
Quest’ultimo contesta tale ratio ed obietta che la conoscibilità, ossia il fatto che egli avrebbe dovuto sapere di essere esposto ad una azione per danni, è stata ricavata dalla corte di secondo grado da presunzioni non gravi, ed in particolare dalla appartenenza alla medesima struttura dei due ospedali, quello in cui operava il ricorrente e quello in cui è morta la paziente. Altrettanto affermava circa la pretesa consapevolezza che non poteva essere ricavata dalla mera gravità delle condizioni salute.
La Corte di Cassazione (sentenza del 13 marzo 2025 n. 6649) accoglie i motivi avanzati dal medico, affermando che: “Era, si, onere dell’assicurato dare notizia della possibilità di subire una richiesta di risarcimento, appena avutane conoscenza. Ciò in base alle condizioni di polizza riportare in ricorso. Tuttavia, è regola che l’accertamento della consapevolezza dell’assicurato circa la possibilità che gli pervenga una richiesta di risarcimento va fatto ex ante, ovviamente, e non ex post, ossia dopo che la richiesta è stata effettivamente fatta (Cass. 20997/ 2023). Inoltre, la consapevolezza, o anche la percezione di potere essere esposti ad una azione di risarcimento, presuppongono che si siano verificati fatti che quella percezione giustificano, come, ad esempio, le rimostranze del paziente o dei suoi familiari (Cass. 23961/ 20222). Infine, la colpa dell’assicurato (nel non avere dato notizia) deve essere grave (Cass. 12086/2015), ossia deve fondarsi sulla erronea valutazione di elementi dai quali era facile o di comune esperienza dedurre che il medico avrebbe potuto essere esposto ad un’ azione di responsabilità.
Nel caso presente il Collegio rileva che: “, “la Corte di Appello ha ritenuto che il medico avrebbe dovuto percepire che gli sarebbe stata fatta causa (poi iniziata, significativamente, due anni dopo il suo intervento) dal fatto che la paziente è uscita dall’intervento in gravi condizioni. Alla luce dei principi sopra esposti, tuttavia, questa sola circostanza non è sufficiente per poter dire che il medico sapeva e non ha avvisato la sua assicurazione: non può ricavarsi da tale sola circostanza che il medico avrebbe dovuto sospettare una futura azione o richiesta di risarcimento nei suoi confronti, e ciò in quanto la gravità delle condizioni di salute di un paziente, a seguito dell’intervento, non indica necessariamente una responsabilità del medico, né indica, di per sé, che il paziente o suoi eredi faranno causa. Il fatto noto (le condizioni di salute della paziente) non è grave, ai fini induttivi, in quanto non indica necessariamente il fatto ignoto (se sarà avanzata una richiesta di risarcimento). Non è grave in quanto nella generalità dei casi di aggravamento non segue una azione giudiziaria a carico del medico: solo dimostrando che, solitamente, quando le condizioni del paziente si aggravano il medico è poi citato in giudizio, si potrà dire che l’indizio porta al fatto ignoto, ossia si potrà dire che esiste una massima di esperienza (o una inferenza statistica) che consente di indurre dal fatto noto quello ignoto. Diversamente, ogni volta che le condizioni di un paziente si aggravano a seguito di un intervento chirurgico, è onere del medico avvisare l’assicurazione di una probabile futura causa di responsabilità. Né, ovviamente, può dirsi che il medico avrebbe dovuto sapere della morte della paziente, avvenuta in altro ospedale, in quanto entrambi i nosocomi appartengono alla medesima ASL: circostanza, questa, poco indicativa anche essa ai fini induttivi, posto che l’appartenenza è un dato giuridico che non risolve la distanza fisica. Non si può dire che ciò che accade in uno dei due ospedali, distanti tra loro, si presume che si sappia anche nell’altro, per via di un dato meramente organizzativo, quale l’appartenenza alla medesima ASL. Da una premessa giuridica (i due ospedali appartengono alla medesima struttura) non si può trarre una conclusione fattuale (quindi ciò che avviene nell’uno è conosciuto da quelli che stanno nell’altro)“