La Corte di Appello di Bari aveva rigettato l’appello dei fratelli del defunto, circa la lesione del rapporto parentale, sul rilievo che i predetti non avrebbero specificamente dimostrato di aver subito un pregiudizio risarcibile, non essendo emerso di aver mantenuto con la vittima significativi rapporti nel tempo (c.d. vicinitas); tanto, peraltro, diversificando la valutazione rispetto ai membri del nucleo familiare del lavoratore deceduto, nonché della madre, soggetti per i quali, secondo la Corte d’Appello, sarebbe stato possibile far ricorso a presunzioni circa la sussistenza del danno in questione, secondo l’id quod plerumque accidit.
Senonché, la Corte di Cassazione (sentenza del 11 aprile 2025 n. 9501), cassando la predetta decisione, ha rammentato che: “… il giudice è tenuto a verificare, in base alle evidenze probatorie acquisite, se sussistano uno o entrambi i profili di cui si compone l’unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioè, l’interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico-relazionale, nonché ad apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi quali la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi (anche se al di fuori di una configurazione formale), la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l’età delle parti ed ogni altra circostanza del caso” (Cass. n. 28989/2019)“.
Rileva pertanto che: “la Corte barese, con la suesposta motivazione, non s’è evidentemente attenuta a detto principio, cui la Corte intende dare continuità, avendo soltanto valorizzato la mancata dimostrazione della convivenza dei predetti odierni ricorrenti col defunto al fine di escludere tout court l’utilizzabilità del ragionamento inferenziale, erroneamente relegato (quale suo esclusivo ambito elettivo) al criterio della convivenza o al legame tipico del rapporto genitore/figlio“.