La Corte di Cassazione, nella sentenza del 28 aprile 2025 n. 11135, afferma che: “in tema di risarcimento dei danni, l’applicazione, da parte del giudice di primo grado, di una delle norme invocate quale titolo di responsabilità non comporta la formazione di un giudicato implicito, trattandosi di mera qualificazione giuridica, sicché l’attore, totalmente vittorioso in primo grado, non ha l’onere di proporre appello incidentale al fine di far ricondurre la responsabilità del danneggiante ad una diversa fonte; mentre rientra nel potere ufficioso del giudice di merito, in qualsiasi fase del procedimento, il compito di qualificare giuridicamente la domanda e di individuare conseguentemente la norma applicabile (v. Cass., 08/05/2015, n. 9294; Cass., 09/06/2016, n. 11805). In fattispecie del tutto identiche al caso in esame, questa Corte ha infatti avuto specificatamente modo di precisare (v. in particolare Cass, 10/11/2023, n. 31330, seguita da Cass., 21/06/2024, n. 17253): a) che il giudicato sulla qualificazione giuridica non si forma quando: a) la qualificazione giuridica data dal giudice di merito alla domanda “non ha condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito” (Cass., Sez. Un., n. 16084 del 09/06/.2021, par. 46 dei “Motivi della decisione”; Cass., 17/04/02019, n. 10745; Cass., 01/06/2018, n. 14077); b) che non è dato poter discorrere di “giudicato” sulla qualificazione giuridica, quando si tratti soltanto di stabilire, fermi i fatti accertati, quale norma debba applicarsi ad una determinata fattispecie concreta: in questa ipotesi, in virtù del principio jura novit curia, è sempre consentito al giudice – anche in sede di legittimità – “valutare d’ufficio, sulla scorta degli elementi ritualmente acquisiti, la corretta individuazione” della norma applicabile (v. tra le tante Cass., 05/03/2019, n. 6341). Infatti, lo stabilire se la domanda proposta dall’attrice debba decidersi applicando l’art. 2043 cod. civ. o l’art. 2052 cod. civ. non è una questione di qualificazione giuridica della domanda, che resta invariata nell’uno come nell’altro caso ed ha ad oggetto il risarcimento del danno da fatto illecito. Piuttosto, lo stabilire se debba applicarsi l’una o l’altra norma è questione di individuazione della norma applicabile, da risolvere in base al principio jura novit curia.
In ordine all’onere probatorio, il Collegio precisa che: “non è sufficiente, per il danneggiato, dimostrare la presenza dell’animale sulla carreggiata e l’impatto tra quest’ultimo e il veicolo, essendo egli tenuto – anche ai fini di assolvere all’onere della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ai sensi dell’art. 2054 cod. civ., comma 1 – ad allegare e dimostrare l’esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida (cautela da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici) e che il contegno dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui -nonostante ogni cautela- non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto, di modo che quel contegno possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno (v. Cass., 27/04/2023, n. 11107). Quanto al profilo della condotta colposa della parte danneggiata, posto che fatto costitutivo della responsabilità ex art. 2052 cod. civ. è, unitamente al danno, l’esistenza del nesso di causalità, l’efficienza eziologica della condotta del danneggiato è fatto impeditivo del nesso causale che in termini di onere della prova incombe sul danneggiante dimostrare, per cui ove il fatto rimanga ignoto come nel caso di specie le conseguenze sfavorevoli del relativo mancato accertamento ricadono sul danneggiante e non, come ha invece valutato il giudice del merito, sul danneggiato (così, espressamente, v. Cass., 08/05/2023, n. 12159)“.