La Corte di Cassazione, con la sentenza del 23 aprile 2025 n. 10725, precisa, come già operato in passato, che le spese sostenute dall’assicurato per resistere alla pretesa del danneggiato, pur non attenendo direttamente al fatto illecito addebitabile al danneggiante assicurato, “rientrano nel genus delle spese di salvataggio (art. 1914 cod. civ.), in quanto sostenute per un interesse comune all’assicurato ed all’assicuratore” (Cass. Sez. 6, 31/08/2020, n. 18076, Rv. 658762-01; nello stesso senso si è pronunciata Cass. Sez. 3, 05/05/2021, n. 11724);
Tale affermazione, ancorché riferita soltanto alle spese di resistenza, mina -a parere della Collegio- la correttezza della sentenza impugnata, la quale aveva espressamente escluso che la controversia tra il danneggiato e il danneggiante (in merito alla mancata proposizione di querela di falso nei confronti della cartella clinica) potesse in qualche modo concernere l’obbligo di salvataggio prescritto dall’art. 1914 c.c.; secondo il giudice d’appello, la menzionata disposizione riguarderebbe soltanto la produzione del danno risarcibile (nel caso, derivante dalla condotta professionale) e, dunque, non consentirebbe di configurare, nemmeno astrattamente, l’obbligo de quo in relazione alla difesa processuale dell’assicurato.
La Corte di Cassazione, al contrario, afferma che: “il danneggiante assicurato, anche nell’ambito dell’azione promossa nei suoi confronti dal danneggiato, ha l’obbligo (ex art. 1914 c.c.) di compiere quanto gli è possibile per evitare o diminuire il danno, il quale viene determinato nell’an e nel quantum proprio in esito alla predetta controversia; da quest’ultima osservazione si evince che l’estraneità della successiva lite all’originario illecito (dal quale scaturisce il pregiudizio risarcibile e al quale si riferisce la garanzia assicurativa) non assume alcun rilievo sulla configurabilità dell’obbligo di salvataggio ex art. 1914 c.c.: anzi, “mentre il dovere di evitare il danno si concretizza in un contegno commissivo od omissivo che si colloca utilmente nella fattispecie potenzialmente causativa del danno, valendo ad evitarlo, quello di diminuire il danno si riferisce ad un’azione od omissione che, inserendosi nella serie causale successiva al verificarsi del pregiudizio, ne impedisce la crescita ulteriore” (Cass. Sez. 3, 21/07/2016, n. 14992, Rv. 641273-01); del resto, secondo un altro precedente di legittimità, l’obbligo di salvataggio potrebbe persino consistere nel dovere del danneggiante assicurato di astenersi dalla resistenza nel giudizio promosso contro di lui dal terzo danneggiato, qualora da tale difesa non possa ricavarsi alcun beneficio (Cass. Sez. 3, 19/03/2015, n. 5479, Rv. 634662-01, da cui si trae un’ulteriore conferma che le condotte relative al giudizio tra danneggiato e danneggiante rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 1914 c.c.); una volta stabilito che l’obbligo ex art. 1914 c.c. incombe sull’assicurato anche nella conduzione della controversia, occorre verificare se, in concreto, la difesa svolta rispetto alla pretesa risarcitoria sia stata conforme al canone della diligenza del buon padre di famiglia, anche se l’attività di salvataggio non ha sortito buon esito (Cass. Sez. 3, 28/01/2005, n. 1749, Rv. 579887-01)“.
A fronte di ciò la Corte emette il seguente principio di diritto: “L’obbligo di salvataggio ex art. 1914 c.c.
incombe sul danneggiante assicurato per la responsabilità civile anche nella conduzione della controversia promossa nei suoi confronti dal danneggiato (volta proprio a determinare l’an e il quantum del pregiudizio da risarcire) e l’adempimento del dovere di compiere quanto è possibile per evitare o diminuire il danno dev’essere esaminato in base al canone della diligenza del buon padre di famiglia in relazione alla difesa svolta rispetto alla pretesa risarcitoria, anche se l’attività di salvataggio non ha sortito buon esito“.