La prova della qualità di erede nella richiesta risarcitoria

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La Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato (l’ultima volta con la sentenza del 20 giugno 2025 n. 16594) il principio secondo cui, “in tema di legitimatio ad causam, colui che promuove l’azione (o specularmente vi contraddica) nell’asserita qualità di erede di altro soggetto indicato come originario titolare del diritto”, nel caso di specie al risarcimento dei danni, “deve allegare la propria legittimazione per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore, fornendo la prova, in ottemperanza all’onere di cui all’art. 2697 cod. civ., del decesso della parte originaria e della sua qualità di erede, perché altrimenti resta indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto di agire (o a contraddire)”, precisandosi che, “per quanto concerne la delazione dell’eredità, tale onere – che non è assolto con la produzione della denuncia di successione – è idoneamente adempiuto con la produzione degli atti dello stato civile, dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il de cuius che legittima alla successione ai sensi degli artt. 565 e ss. cod. civ.” (così, in motivazione, Cass. Sez. ord. 11 agosto 2021, n. 22730, Rv. 662065-01; sulla necessità che “il rapporto di parentela con il “de cuius”, quale titolo che, a norma dell’art. 565 cod. civ., conferisce la qualità di erede”, sia “provato tramite gli atti dello stato civile, salvo che questi ultimi manchino o siano andati distrutti o smarriti, potendo in questo caso la prova dei fatti oggetto di registrazione – quali la nascita, la morte o il matrimonio – essere data con ogni mezzo”, si vedano pure Cass. Sez. 2, sent. 12 luglio 2024, n. 19254, Rv. 671727-01; Cass. Sez. 2, ord. 14 ottobre 2020, n. 22192, Rv. 659330-01; Cass. Sez. 2, sent. 29 marzo 2006, n. 7276, Rv. 587734-01; Cass. Sez. 2, sent. 4 maggio 1999, n. 4414, Rv. 525973-01)

Alla stregua di tale principio, pertanto, la Corte non ritiene – come invece reputa la sentenza impugnata – “superflua la produzione degli atti dello stato civile a supporto della prova della qualità di erede, atteso che l’azione proposta per far valere un credito del de cuius, costituisce tacita accettazione dell’eredità“, dal momento che, rispetto alla prova dell’accettazione dell’eredità, preliminare era quella della prova della qualità di erede, in quanto figlio. Il Collegio rileva che: “l’errore commesso dalla Corte territoriale è consistito nel ritenere che la dimostrazione dello “status” di figlio – che doveva precedere quella della qualità di erede, a raggiungere la quale è certamente idonea l’accettazione tacita dell’eredità, anche mediante l’esercizio dell’azione giudiziaria volta a far valere i diritti del dante causa (cfr., tra le più recenti, Cass. Sez. 2, ord. 19 marzo 2018, n. 6745, Rv. 647819-01, pronuncia che, non casualmente, concerne una fattispecie in cui non era, però, in contestazione la qualità di figlio) – potesse dirsi raggiunta, fuori dei casi in cui gli atti dello stato civile manchino, mediante presunzioni, e non con estratti di atti dello stato civile. Difatti, nella specie, non può attribuirsi rilievo ai “numerosi certificati di stato di famiglia da cui” – secondo quanto si legge in sentenza – “si trae la costante convivenza di Va.Ni. e Va.Gi. all’interno dello stesso nucleo familiare, seppure spostatosi in luoghi di residenza diversi, nel tempo”. Infatti, se è vero che – a norma dell’art. 4 del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 – il certificato di stato di famiglia attesa l’esistenza di una famiglia anagrafica (“un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune”), esso, nel caso di specie, avrebbe potuto costituire prova dello “status” di figlio solo ove avesse certificato, unitamente al dato della coabitazione, anche il rapporto di paternità/filiazione che legava Va.Ni. e Va.Gi. (cfr., a pag. 9 della motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 26 giugno 2018, n. 16814, Rv. 649422-01). Parimenti, sebbene per ragioni diverse, neppure potrebbe darsi rilievo – come sostenuto da Va.Gi. nella propria memoria ex art. 380-bis 1 cod. proc. civ. – né a pretesi comportamenti di “non contestazione” del rapporto di filiazione, perché posti in essere nell’ambito non del presente giudizio, ma di altri contenziosi (in un caso, peraltro, neppure tra le stesse parti), né alla deposizione testimoniale – resa in taluna di tali diverse sedi processuali – da Va.Ni.

Difatti, quanto ai primi, deve qui ribadirsi che la “non contestazione” ha l’effetto di dispensare la parte – che quel fatto non contestato abbia allegato – dalla necessità di provarlo solo nell’ambito del giudizio in cui tale comportamento sia stato assunto, atteso che il principio di non contestazione opera esclusivamente all’interno di esso, giacché trova fondamento nel fenomeno di circolarità degli oneri di allegazione, confutazione e prova dei fatti che integrano il “thema decidendum” di quello specifico giudizio (si veda, in tal senso, Cass. Sez. Lav., ord. 1 febbraio 2021, n. 2174, Rv. 660331-01). Quanto, invece, alla deposizione testimoniale “aliunde” resa da Va.Ni., se è innegabile che il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche le prove raccolte in un diverso giudizio tra le stesse parti o tra altre parti, delle quali la sentenza che in detto giudizio sia stata pronunciata costituisce documentazione (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 20 gennaio 2015, n. 840, Rv. 633913-01), deve sottolinearsi che, nel caso di specie, ciò non risulta avvenuto, sicché giammai questa Corte potrebbe fare riferimento ad una risultanza probatoria alla quale la sentenza impugnata non ha inteso riferirsi.

Infine, in merito alla pretesa tardività dell’eccezione sollevata da Unipolsai, giacché – secondo quanto assume il Va.Gi., sempre nella propria memoria – essa sarebbe stata proposta in primo grado “allorquando erano già spirati i termini per le memorie ex art. 183, comma 6, cod. proc. civ.”, deve rilevarsi che tale eccezione, giacché relativa a “materia attinente al contraddittorio”, nonché mirando “a prevenire una sentenza “inutiliter data”, comporta una “verifica, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo”, col “solo limite” – qui insussistente – “della formazione del giudicato interno” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 9 febbraio 2012, n. 1912, Rv. 620484-01; Cass. Sez. Lav., sent. 8 agosto 2012, n. 14243, Rv. 623528- 01; Cass. Sez. 6-3, ord. 6 dicembre 2018, n. 31574, Rv. 651972- 01; Cass. Sez. 5, sent. 24 dicembre 2020, n. 29505, Rv. 660293-01)“.

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Avvocato Massimo Palisi - Padova

Nato a Catanzaro in data 24 aprile 1969, consegue la maturità classica (voto 60/60) e la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Padova (voto 105/110). Viene eletto per il biennio 1992/94 Segretario Nazionale della Fuci (Federazione Universitaria Cattolici Italiani).

Avvocato dal 1999, Cassazionista dal 2016, svolge la propria attività a livello nazionale, operando nell’ambito del diritto sostanziale e processuale civile, con particolare elezione per le tematiche relative alla responsabilità civile (sia in ambito contrattuale che extracontrattuale), alla tutela della persona e dei consumatori in generale (e sotto il profilo risarcitorio in particolare), al diritto del lavoro, al diritto delle assicurazione. Svolge inoltre assistenza a favore delle vittime nell’ambito delle procedure penali.

Ha deciso di non essere fiduciario di alcuna compagnia di assicurazione e/o banche, per non intaccare la propria opera di tutela nei confronti dei danneggiati e dei consumatori.

Ha collaborato, nel primo decennio del 2000, con Cittadinanzattiva Onlus, risultando membro: a) del gruppo studio “Assicurazioni ” del CNCU, istituito presso il Ministero delle Attività Produttive; b) del collegio del Nord Italia dei conciliatori istituito presso il gruppo Banca Intesa, c) del gruppo di studio istituito presso l’ANIA per l’emanazione del nuovo Codice delle Assicurazioni. Ha svolto corsi seminariali in tema assicurativo a livello nazionale, promossi e patrocinati dal Ministero delle Attività Produttive.

È stato relatore in diversi convegni giuridici di carattere nazionale.

Avvocato Evenlina Piraino - Padova

Nata a Cosenza in data 29 settembre 1981, consegue il diploma di maturità al liceo scientifico (voto 100/100) e si laurea nel 2006, presso l’Università di Cosenza (UNICAL), in giurisprudenza (voto 108/110) discutendo una tesi nell’ambito del diritto del lavoro (“Il nuovo sistema di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: Decreto Legislativo n. 38/2000′) e del diritto assicurativo (“Il sistema assicurativo sociale in ambito europeo”).

È avvocato dal 2009; fa parte dello studio dal 2013. Si occupa prevalentemente di diritto civile, sostanziale e processuale, diritto del lavoro, diritto di famiglia, procedure stragiudiziali e di mediazione. Nell’ambito della materia di elezione dello studio legale, si interessa in particolare degli istituti di responsabilità civile speciale, di quello di natura professionale, oltre alla tutela degli animali e dell’ambiente, a vantaggio del quale svolge anche attività di volontariato sociale.

È attiva nell’ambito del diritto di famiglia e della tutela dei minori, nonché della tutela dei diritti della persona in generale, dei consumatori e della proprietà intellettuale.

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