Un cittadino conveniva in giudizio il Comune di Spilimbergo, per sentirlo condannare al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente al suo mancato tempestivo reinserimento nelle liste elettorali, che gli aveva impedito di votare al referendum abrogativo tenutosi il 17 aprile 2016 (avente ad oggetto la durata delle trivellazioni in mare entro 12 miglia dalla costa). Sia il Tribunale di Pordenone che la Corte di Appello di Trieste rigettavano la richiesta. La Corte giuliana in particolare osservava che: “nonostante risultasse incontroverso l’errore commesso dal Comune nell’omettere di reinserire tempestivamente il nominativo dell’appellante, non vi era “prova che un qualche danno sia, in concreto, derivato“.
Il ricorrente criticava siffatta statuizione muovendo dalla considerazione che il diritto di voto è garantito dalla Costituzione (art. 48 Cost.) e assumendo, quindi, che il danno era comunque sussistente in quanto “dichiaratamente collegato all'”impossibilità di partecipare alla tornata referendaria del 17 aprile 2016“”; sicché, era proprio tale situazione (impossibilità di partecipare al referendum) ad integrare “già di per sé un danno“, dovendosi, pertanto, provvedere, da parte del giudice adito, soltanto alla relativa valutazione “nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia“.
La Corte di Cassazione (sentenza del 7 luglio 2025 n. 18395) rileva che la censura, così veicolata, si risolve, però, nella rivendicazione del risarcimento di un “danno in re ipsa“. A tal riguardo, evidenzia , in punto di diritto, che: “in tema di danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti della persona costituzionalmente tutelati (e tale è anche il diritto al voto nella sua duplice dimensione, individuale – quale esercizio di un diritto personale, libero e uguale – e sovraindividuale, costituendo il voto atto di partecipazione democratica alla vita pubblica e istituzionale del Paese, in attuazione dell’art. 1 Cost.) il risarcimento non è in re ipsa, poiché il danno risarcibile – nella sua attuale ontologia giuridica, segnata dalla norma vivente dell’art. 2043 c.c., cui è da ricondurre la struttura stessa dell’illecito aquiliano (Cass. n. 16133/2014) – non si identifica con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto, in ogni caso, di allegazione e prova, sebbene anche attraverso presunzioni (tra le molte: Cass. n. 24474/2014; Cass. n. 25420/2017; Cass. n. 17383/2020; Cass. n. 8861/2021; Cass. n. 33276/2023; Cass. n. 15352/2024; Cass. n. 20269/2024; Cass. n. 29920/2024; Cass., S.U., n. 5992/2025).
Il superamento della teorica del c.d. “danno evento”, elaborata compiutamente dalla sentenza n. 184 del 1986 della Corte costituzionale in tema di danno biologico, è frutto di successive elaborazioni giurisprudenziali, tributarie del revirement operato dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 372 del 1994, i cui esiti possono compendiarsi nelle parole della sentenza n. 26972/2008 delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “gli elementi costitutivi della struttura dell’illecito civile, che si ricavano dall’art. 2043 c.c. (e da altre norme, quali quelle che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva) … consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest’ultimo dall’ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela, e nel danno che ne consegue (danno-conseguenza, secondo opinione ormai consolidata …)“.
Ed è questo il piano della distinzione fra causalità materiale e causalità giuridica (quest’ultima da riferirsi agli artt. 1223 e 2056 c.c.), che sostanzia lo statuto dell’obbligazione risarcitoria (come più di recente ribadito da Cass., S.U., n. 33645/2022, segnatamente al par. 4.6.), rispetto al quale la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte afferma, come detto, la non risarcibilità di un danno in re ipsa anche in riferimento alla lesione di diritti fondamentali. Ne deriva, pertanto, che la censura di parte ricorrente – nel predicare l’esistenza di un danno in re ipsa, in quanto sussistente sulla base della sola lesione del “diritto al voto” (art. 48 Cost.) ad esso cagionata dalla mancata iscrizione nelle liste elettorali da parte del Comune di Spilimbergo, sebbene dovuta – non è tale da scalfire la decisione assunta dal giudice di appello, essendo questa fondata sull’assenza di prova di un danno (conseguenza) in concreto patito dallo stesso Te.Tu“
Ad un occhio attento, non sfugge l’ingenuità in cui è incorso il difensore della parte ricorrente, il quale non ha prospettato, anche con la semplice allegazione e successiva presunzione probatoria, le conseguenze (ovviamente di carattere non patrimoniale) effettivamente patite dal proprio cliente, quali la frustrazione per l’illegittima esclusione da un momento particolarmente significativa della vita del cittadino, il rammarico di non aver contribuito ad una tematica particolarmente sensibile (di carattere ecologico), il senso di vergogna determinato dal protrarsi delle conseguenze di una condanna penale (questo il motivo della precedente cancellazione dalle liste elettorali). Ciò avrebbe presumibilmente determinato l’ottenimento del risarcimento. Invece ha semplicemente urlato “re è nudo“, così votandosi ad una sconfitta certa.