A seguito delle lesioni riportate in un incidente stradale, il danneggiato, stante le riportate gravi limitazioni alla deambulazione, veniva escluso dal concorso di Vigile del Fuoco. Per tale perdita di chance il Tribunale di Palermo riconosceva il risarcimento di un danno patrimoniale (quale perdita di chance). La compagnia di assicurazione impugnava tale determinazione avanti la Corte di Appello di Palermo che, sul rilievo che all’esito del mancato ingresso tra i Vigili del Fuoco, il danneggiato aveva conseguito un impiego lavorativo meglio remunerato, riteneva non sussistente il danno. Avverso tale decisione la vittima faceva ricorso avanti la Corte di Cassazione, rilevando, in particolare, che, nel caso di specie, la perdita subita “è di gran lunga superiore ad una semplice perdita economica, è una perdita di un modo di essere, di un modo di vivere, di tutta una serie di aspirazioni e sogni di un giovane che è stato privato del suo futuro, della sua fervida intraprendenza, della sua dinamicità“. In particolare, “la circostanza poi che lo stesso “guadagnerebbe” maggiori emolumenti è assolutamente irrilevante e riduttiva”, trattandosi “pur sempre di un lavoro “di ripiego” non confacente le proprie propensioni e abilità che sono state irrimediabilmente e definitivamente danneggiate“. La Corte d’Appello avrebbe quindi “omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio consistente nel grave pregiudizio alla libertà ed alla dignità del soggetto nonché alla libera esplicazione della propria personalità in ambito lavorativo, comportante un danno da perdita di contenuto patrimoniale“.
La Corte di Cassazione (sentenza del 31 luglio 2025 n. 22019) ha rigettato il ricorso, rilevando che: “il giudice di primo grado, nel determinare il quantum dovuto a titolo di risarcimento, aveva già proceduto alla personalizzazione del danno mediante un incremento “nella misura massima” possibile (cioè il 32%) degli importi già individuati a titolo di risarcimento del danno biologico, considerando anche il “vizio della deambulazione”, che è, con tutta evidenza, la principale causa dell’impossibilità, per il Re.Le., di svolgere le mansioni di vigile del fuoco”. Orbene, secondo la Corte palermitana, la dimensione non strettamente “economica” della perdita della chance di accedere alla carriera di Vigile del Fuoco non è rimasta estranea – a differenza di quella propriamente patrimoniale (la cui ricorrenza è stata, invece, esclusa in ragione del conseguimento di un impiego più remunerativo) – dalla liquidazione complessiva del danno alla persona patito da Re.Le., sicché era onere del medesimo contrastare tale affermazione, ciò che nella specie non risulta avvenuto… Né può dirsi che il giudice d’appello abbia omesso di considerare che il lavoro “costituisce non solo uno strumento di guadagno, ma anche un mezzo di estrinsecazione della personalità, una modalità di esplicazione del valore professionale e della dignità di ciascun cittadino”. Si è già detto, infatti, che la forzata scelta di Re.Le. in favore di un lavoro “di ripiego”, nella prospettiva della Corte palermitana, ha ricevuto rilievo attraverso una congrua personalizzazione del danno alla salute patito dall’odierno ricorrente: affermazione che non ha ricevuto, come detto, una specifica censura“.