La Corte di Cassazione (sentenza del 14 settembre 2025 n. 25156) rileva che dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata non si evincono le ragioni del convincimento raggiunto dalla Corte d’Appello lombarda, la quale, da un lato, ha riconosciuto al ricorrente una consistente percentuale di macroinvalidità, cioè il 48% e tuttavia, dall’altro, ha negato in toto la sussistenza del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica, non operando né l’attuabile adeguato ragionamento presuntivo né una conseguente liquidazione equitativa. Osserva il Collegio come: “questa Corte abbia da tempo affermato il principio – cui convintamente s’intende garantire continuità -secondo cui, nei casi in cui una rilevante percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica e il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all’accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi; la liquidazione di detto danno può avvenire appunto attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio (Cass. n. 25634/2013; sulla stessa linea, fra tante, cfr. Cass. n. 20003/2014; Cass. n. 15737/2018 -correttamente invocata dal ricorrente -; Cass. ord. n. 19922/2023 – anch’essa da lui citata -; Cass. ord. n. 25910/2023). Parimenti, è stato precisato che per il danno da perdita di capacità lavorativa specifica, non essendo danno in re ipsa, va allegato e provato nell’an e nel quantum (sia pure, appunto, anche a mezzo di presunzioni semplici) dall’attore-danneggiato (cfr. la già citata Cass. n. 26641/2023, Cass. n. 19922/2023, Cass. n.15301/2008 e Cass. n. 3961/1999), e posto in luce che il danno da riduzione della capacità lavorativa specifica va generalmente ricondotto nell’ambito non del danno biologico, bensì del danno patrimoniale (cfr. in particolare Cass. n. 17464/2007 e Cass. n. 1879/2011), e che l’accertamento dell’esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta l’automatico obbligo di risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un’attività produttiva di reddito e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo a causa del fatto dannoso (v. Cass. n.9444/2010 e Cass. n.17397/2007). Nel caso di specie, la Corte d’Appello, nonostante l’accertata sussistenza di un danno biologico nella misura di ben 48%, ha escluso l’esistenza di un danno da perdita della capacità di guadagno (…) . La Corte d’Appello in proposito ha aggiunto che “anche l’andamento del reddito della impresa conferma, come già ritenuto dal Tribunale, che il sig. La., pur non potendo più personalmente guidare mezzi pesanti, abbia proseguito l’attività di impresa, che proprio nel 2010 ha realizzato un reddito (euro 21.205) superiore a quello ottenuto nel 2008 (euro 16.096), anno precedente il sinistro, e negli anni successivi ha avuto un andamento oscillante (euro 9.478 nel 2011, Euro zero del 2012, Euro 14.218,00 nel 2013, Euro 7.941,00 nel 2014). Così come ritenuto dal primo giudice, ciò conferma come il sig. La.non abbia perduto la propria capacità lavorativa di imprenditore, continuando a gestire l’impresa, avvalendosi di dipendenti e collaboratori, come riferito dai testi Ya.Be. e Ni.Ma.” (pag. 13 della sentenza impugnata); La corte territoriale ha poi ulteriormente rilevato: “Le argomentazioni con le quali il primo giudice ha rilevato l’assenza di allegazione e prova circa l’entità dell’apporto personale fornito all’attività di impresa dal sig. La., e quindi la sua incidenza sulla redditività dell’impresa, non sono state oggetto di alcuna critica specifica da parte dell’appellante. Né assume rilevanza la deposizione del teste Ya.Be., che ha riportato le preoccupazioni al medesimo manifestate dal sig. La.per il futuro dell’azienda, per aver dovuto assumere autisti e sostituire un camion, trattandosi, (Omissis) evidenza, alle generiche considerazioni, provenienti dallo stesso danneggiato, dalle quali non è possibile alcun elemento di prova, neppure presuntiva”. Il giudice d’appello ha infine concluso che “le gravi lesioni patite dal danneggiato e le ripercussioni che esse hanno sulla vita quotidiana del sig. La., già sono state considerate dal Tribunale nel riconoscimento e nella liquidazione del danno non patrimoniale, e dalle stesse non può ricavarsi l’esistenza di quel danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa oggetto della presente impugnazione” (pag. 13 della sentenza impugnata).
Il Collegio rileva come queste argomentazioni patiscano: “un forte livello di illogicità e non si rapportano, ictu oculi, con il reale thema decidendum, permanendo quindi anche su un livello di carenza motivazionale. Invero, come già si è visto, l’attuale ricorrente, che esercitava l’attività di conducente di mezzi pesanti, si è trovato a dover portare una stabile lesione anatomica e funzionale dell’arto inferiore destro, che in sostanza gli ha reso impossibile riprenderne l’esercizio, come riconosciuto, nonostante l’inserimento anche di argomenti non particolarmente lineari, in modo chiaro nella consulenza tecnica d’ufficio laddove il consulente afferma (passo già sopra trascritto) “la preclusione di attività che comportino un prolungato mantenimento di posture coatte, e/o particolari sollecitazioni funzionali degli arti inferiori”. E il conducente di un camion, insegna il notorio, fa proprio quello. Non risulta tuttavia che il giudice d’appello abbia fornito alcuna spiegazione del perché questo danno biologico, accertato nella misura del 48% quale macrolesione, non avrebbe minimamente inciso sulla capacità lavorativa specifica, appunto, di conducente di mezzi pesanti del La., non essendo d’altronde sostenibile -id est, non essendo sufficientemente logico – identificarla in toto nella vicenda della sua piccola impresa (tra l’altro, venuta meno)“.