La Corte di Cassazione (con la sentenza del 17 settembre 2025 n.25474 – dott. Marilena Gorgoni) torna a criticare la tabella predisposta dall’Osservatorio Civile di Milano nel caso in cui la vittima muore, per cause diverse dalle lesioni subite, nel corso del giudizio, osservando che: “la (seconda) premessa dalla quale muove la tabella milanese applicata (la prima, appunto è che un criterio liquidativo diversificato per fasce di età sia inidoneo a esprimere la peculiarità della fattispecie, essendo utilizzato per calcolare l’aspettativa di vita, concetto che diviene irrilevante nel momento in cui la persona viene a mancare), ossia quella per cui il danno non è una funzione costante nel tempo ma è ragionevolmente maggiore in prossimità dell’evento per poi decrescere progressivamente fino a stabilizzarsi, non è condivisibile sia sul piano logico che su quello giuridico, perché non ha senso ipotizzare che un danno possa decrescere nello stesso momento in cui lo si definisce, appunto, permanente; ciò è confermato proprio dal confronto tra il sistema di liquidazione del danno biologico da invalidità permanente che le tabelle milanesi seguono per il caso di sopravvivenza della vittima fino alla conclusione del giudizio, con quelle del danno da premorienza; le prime sono regolate secondo un criterio statistico, nel senso che la liquidazione avviene in base al punto di invalidità e all’età della vittima, che rileva anche perché indica, tendenzialmente, secondo le aspettative di durata media della vita, per quanti anni la vittima dovrà convivere con la sua menomazione (Cass. n. 41933/2021, p. 14); una volta che il giudizio termina col passaggio in giudicato della sentenza, la liquidazione diventa definitiva, senza che assuma più alcun rilievo il momento in cui la vittima effettivamente viene a mancare, proprio perché il calcolo si fonda pure su di un’aspettativa di vita; il danno da premorienza, come si è visto, prende le mosse dal fatto che la vittima è morta prima che il giudizio finisca, per cui il calcolo del danno biologico va compiuto, come detto, sulla base di un dato ormai certo e non più ipotetico, ma “una tabella sul danno da premorienza, per poter essere “equa”… deve partire dal presupposto che a parità di durata della vita residua deve corrispondere, ovviamente in caso di uguale invalidità permanente, un risarcimento uguale. Detto in termini più semplici, il danno già sopportato per un tempo certo…non può essere liquidato meno di un danno che verosimilmente si sopporterà, in futuro, per un identico arco di tempo. Il tempo, infatti, esprime la durata della sofferenza (ovvero del pregiudizio) che si è patita o che si dovrà patire, ma a parità di durata deve corrispondere, tendenzialmente, parità di risarcimento” (Cass. n. 41933/2021, pp. 14-15); il diffuso riconoscimento delle tabelle milanesi non le rende per ciò solo immuni da vaglio critico in termini razionali; il fatto, poi, che le tabelle in parola (peraltro applicate dalla Corte d’Appello di Milano), dal 1995 (anno delle prime griglie pubblicate), considerino fasce di età fino a 100 anni non corrisponde, logicamente, alla considerazione di una tale e peraltro in tesi costante aspettativa di vita sulla base dei dati statistici, che sarebbe irrealistica, ma solo al fatto che, concettualmente, si è così scelto di ricostruire il valore del punto, prendendo a misura lo spettro anagrafico di un secolo per assicurare proporzionali abbattimenti “percentuali”, fermo restando che l’aspettativa statistica generale è come noto ancora di diversi anni inferiore, senza che sposti la conclusione il fatto che una singola persona abbia vissuto e stia vivendo in concreto oltre quella soglia “attesa” (al di là, poi, della vita “sperata”, ricostruibile secondo ulteriori dati anche statistici, per quei soggetti che superino la vita attesa da riferire alla popolazione complessiva)“.

Prescrizione in ambito civile e penale: istituti collegati ma distinti
La Corte di Cassazione (sentenza del 22 settembre 2025 n. 25811) ritiene fondato il motivo