Anche in questa tragedia, come in moltissime altre, la radice ultima può rintracciarsi nell’avidità umana, volta al profitto ad ogni costo, insensibile ad arrestarsi per tutelare la vita della comunità.
Nella magistrale ricostruzione, fornita da Paolini della vicenda, si afferma infatti chiaramente: “Se la SADE restasse proprietaria dell’impianto potrebbe anche aspettare due e tre anni a collaudare. Ma siccome devono vendere subito, il collaudo dev’essere fatto subito, perché la merce venduta è un impianto funzionante. E bisogna dimostare che si può usare fino all’ultimo metro. Anche se è pericoloso” (Paolini, Il racconto del Vajont, 1997).
Così si diede il via all’operazione dell’invaso totale, che determinò poi la terribile frana.
Evidentemente nel computo tra benefici e costi, il prezzo di vendita dell’impianto all’ENEL (nell’operazione di nazionalizzazione) valeva di più della vita di migliaia di vittime.
Si ritiene fondatamente che se la funzione deterrente della responsabilità fosse stato principio pacifico ed automatico (al di là di quella riparatoria, per sua natura aleatorio ed indeterminato) le disinvolte e criminali scelte imprenditoriali non sarebbero state adottate.