Partendo dalle seguenti non contestate premesse (ossia che il danno biologico può essere provato solo mediante CTU e che la relazione di parte non è una prova ma solo una semplice argomentazione difensiva) il danneggiato chiede solitamente -per accertare il proprio danno- al Giudice l’ammissione di CTU medico legale. Però cosa succede se il Giudice rigetta la richiesta, considerandola meramente esplorativa, perché il danneggiato non ha provato la circostanza che deve essere oggetto della CTU?
Tale cortocircuito logico, oltre che giuridico, è stato più volte risolto dalla Corte di Cassazione, da ultimo con sentenza del 2 gennaio scorso (n. 6), coordinando coerentemente il concetto della esploratività della consulenza con la dimensione percipiente della stessa.
I Giudici di legittimità affermano che: “il danno alla salute trova il suo mezzo di accertamento più idoneo proprio nella consulenza tecnica, che non può dunque ritenersi, tout court, esplorativo, se non motivando adeguatamente la ragione di tale assunto“.
Ed invero l’assistenza tecnica che il consulente è chiamato a prestare al giudice può estrinsecarsi fondamentalmente ad un triplice livello: a) nella mera indicazione delle massime d’esperienza (beninteso, di natura tecnica) di cui il giudice dovrà avvalersi nell’apprezzamento dei dati istruttori (ed in tal senso si conclama il contenuto minimo della consulenza); b) nella valutazione ragionata dei fatti già probatoriamente acquisiti, ossia della diretta applicazione delle massime predette alla fattispecie concreta e nella formulazione del susseguente giudizio di fatto (c.d. consulenza deducente); c) nella percezione ed accertamento, sulla scorta, sempre, di precisi canoni tecnici, di circostanze attuali di fatto e nella loro descrizione/rappresentazione all’organo giudiziario (c.d. consulenza percipiente).
In quest’ultimo caso la consulenza assume valore di vera e propria fonte oggettiva di prova, quindi non mero mezzo di valutazione sotto il profilo tecnico scientifico di dati già acquisiti, ma di vero e proprio strumento di accertamento e descrizione di fatti. Ciò, senza che comporti il venir meno tout court dell’onere della prova, ovviamente determina un diverso contenuto dello stesso.
E proprio con specifico riferimento all’accertamento del danno alla persona – come per la fattispecie che ci occupa – lo strumento della consulenza medico legale diventa nella sua essenza vero e proprio mezzo istruttorio cardine. Il Magistrato richiede infatti al consulente d’ufficio, nell’ambito medico legale della quantificazione del danno alla persona, non solamente di valutare fatti accertati o documenti già esistenti, ma soprattutto di accertare fatti rilevanti per la decisione. In conseguenza di ciò, la giurisprudenza più recente ha affermato apertamente che, nelle particolari ipotesi in cui l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi unicamente con l’ausilio di speciali cognizioni tecniche (e il caso della percezione del danno alla persona, con opportuna quantificazione, è a tal proposito, emblematico), la consulenza tecnica d’ufficio assurge a vera e propria “fonte oggettiva di prova”, id est, almeno quanto agli effetti, distinto mezzo di prova. La consulenza tecnica medico legale è, in sostanza, intesa quale strumento senza dubbio diretto, non tanto a valutare accertamenti già eseguiti, ma proprio ad accertare il danno, e ciò sulla base di particolari conoscenze scientifiche.