La vicenda rientra nel tristemente famoso fenomeno delle “liste di attesa“. Il paziente, inserito per un intervento di termoablazione cardiaca, giungeva a morte dopo dieci mesi senza essere stato chiamato per l’intervento che avrebbe potuto salvargli la vita. Il Tribunale di Milano, in una causa patrocinata dallo Studio, prospetta, in una recentissima sentenza, la responsabilità della struttura sanitaria, individuando una perdita di chance e quantificando il relativo danno, per i parenti sopravvissuti, in termini puramente equitativi.
In via generale è configurabile il cd. danno da perdita di chance nella materia del trattamento medico quando la colpevole condotta del sanitario ha avuto come conseguenza un evento di danno incerto, costituito dalla perdita della possibilità di una maggiore durata della vita o di minori sofferenze (cfr. Cass. Civ. 11 novembre 2019 n. 28993), perdita che non è possibile determinare con precisione nell’an e nel quantum, proprio in quanto vi è incertezza sull’eventuale e ulteriore segmento temporale di cui il danneggiato avrebbe potuto godere (cfr. Cass. Civ. 19 settembre 2023 n. 26851). La risarcibilità di tale danno richiede l’accertamento dei presupposti della serietà, apprezzabilità e concretezza della possibilità perduta, nonché del nesso causale, da accertare secondo gli usuali criteri, tra la perdita di chance e la condotta in rilievo.
Il Tribunale di Milano ritiene riconducibile al delineato paradigma il caso portato alla sua valutazione. Ed afferma infatti che:
“da un lato, in base alle risultanze della consulenza tecnica non viene in rilievo un rapporto causale tra l’omesso svolgimento della procedura ablativa ed il decesso del paziente, atteso che il sig. *** era affetto da una grave cardiopatia che si è aggravata nel tempo e che ha determinato il verificarsi di una serie di episodi acuti, fino a quello fatale, verificatosi nonostante la esecuzione della termoablazione. Pertanto, ciò porta ad escludere che l’evento dannoso derivante dalla condotta ascritta all’istituto convenuto sia la anticipata morte del paziente. Dall’altro lato, gli stessi consulenti hanno evidenziato come la mancata ablazione nei 10 mesi precedenti abbia con elevata probabilità ridotto le chances di maggiore sopravvivenza del sig. *** , giudizio che risulta suffragato proprio dallo studio citato nella relazione, che ha messo in evidenza i probabili maggiori benefici in termini di maggiore sopravvivenza di tale procedura rispetto alla terapia farmacologica”.
Tuttavia si precisa che: “dagli esiti di tale studio al caso in esame, data l’età e le specifiche caratteristiche del paziente (…) non è determinabile con certezza il lasso temporale di maggiore sopravvivenza del paziente. A fronte di ciò, si ritiene quindi che l’evento di danno configurabile nel caso in esame sia per l’appunto la perdita di una possibilità di ulteriore sopravvivenza. Pertanto, alla luce dei citati rilievi svolti dai consulenti e della non trascurabile percentuale di perdita di chance prospettata nell’elaborato, si ritiene raggiunta la prova del nesso causale tra la condotta omissiva ascrivibile alla parte convenuta e la perdita della chance di una possibile ulteriore sopravvivenza, nonché del fatto che tale possibilità sia seria, concreta ed apprezzabile“.