La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24007 del 6 settembre 2024, torna ad occuparsi di responsabilità professionale dell’avvocato, precisando che: “qualora essa si sia tradotta nella impossibilità per il cliente di intraprendere l’iniziativa giudiziaria concordata (per omessa proposizione di una impugnazione nei termini, oppure, come nella specie, per omesso rilascio della firma del cliente sul ricorso, dichiarato per questo inammissibile) ai fini della configurabilità del diritto del cliente al risarcimento del danno è necessario all’attore non soltanto provare il comportamento imperito, negligente o imprudente del professionista e il suo rapporto causale con la preclusione della iniziativa giudiziaria, ma anche che, se fosse stata intrapresa, l’iniziativa giudiziaria avrebbe avuto, sulla base di una valutazione ex ante ed applicando la regola probatoria del più probabile che non, ragionevoli probabilità di accoglimento“.
Ed infatti non è sufficiente, a fondare il diritto risarcitorio, evidentemente la sola prova della negligenza, anche se preclusiva dell’azione giudiziaria, “lasciando ricadere sul professionista convenuto l’onere di provare che l’iniziativa, anche se regolarmente intrapresa, non avrebbe avuto realistiche probabilità di successo, traducendosi ciò in un indebito ribaltamento degli oneri probatori, perché l’onere del convenuto di fornire la prova liberatoria della propria responsabilità scatta soltanto se è accertato il nesso causale tra la condotta colposa e il danno“.
Il contenuto dell’onere probatorio in capo all’attore, in caso si alleghi la responsabilità professionale dell’avvocato, non si esaurisce dunque nel provare la negligenza dell’avvocato ma consiste nel fornire gli elementi di prova dell’evento di danno e cioè nel fornire elementi ai fini dell’esito positivo del giudizio probabilistico, al fine di condurre all’accertamento che fosse più probabile che non che, se l’avvocato si fosse correttamente attivato evitando di porre in essere comportamenti che vanificavano l’efficacia della sua attività professionale, con buona probabilità avrebbe ottenuto l’esito sperato in favore del cliente. La Corte richiama sua precedente pronuncia con la quale aveva affermato che: “La responsabilità dell’avvocato – nella specie per omessa proposizione di impugnazione – non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone” (cfr. Cass. Civ. n. 2638 del 2013: ).