La nascita indesiderata: il ragionamento presuntivo

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La Corte di Cassazione, con la sentenza del 27 gennaio 2025 n. 1903, decidendo su un ricorso in ordine alla nascita di un bambino con malformazioni colposamente non accertate durante le indagini prenatali, coglie l’occasione per proporre un accurato ed approfondito excursus in ordine al controverso tema del danno da nascita indesiderata, partendo dalla decisione n. 25767/2015 delle Sezioni Unite che ha composto un contrasto di giurisprudenza nei precedenti arresti di legittimità, in particolare in ordine alla questione relativa: a) al riparto dell’onere probatorio ed ai mezzi con cui provare il danno subìto dalla donna a causa della nascita indesiderata di un figlio affetto da handicap (ponendo detto onere a carico della gestante e prevedendo che esso possa essere assolto anche per presunzione); b) alla legittimazione attiva del nato malformato ad ottenere il risarcimento per non poter condurre una vita “sana e dignitosa” (escludendo che nel nostro ordinamento possa trovare spazio l’aborto eugenetico e sia configurabile un diritto a non nascere se non sani).

Il precedente richiamato in sentenza riguardava una coppia che aveva intentato azione risarcitoria nei confronti, oltre che della ASL, anche del ginecologo che aveva assistito la signora durante la gravidanza. Gli attori si erano doluti che il medico non avesse prontamente diagnosticato la sindrome di Down della figlia e che, pertanto, la donna non fosse stata messa nelle condizioni di poter praticare l’aborto c.d. terapeutico. Sia il giudice di primo grado che il giudice di appello avevano respinto le domande attoree. In particolare, quanto alla posizione della madre, i giudici di merito avevano affermato che il risarcimento del danno non conseguiva automaticamente all’inadempimento dell’obbligo di esatta informazione a carico del sanitario su possibili malformazioni del nascituro, bensì era soggetto alla prova della sussistenza delle condizioni previste dall’art. 6, L. 194/1978. Ciò in quanto l’interruzione volontaria di gravidanza, nello spirito della legge 194/1978, è consentita per evitare un pericolo per la salute della gestante ed è subordinata a requisiti specifici – che la stessa gestante è tenuta a provare – in assenza dei quali l’aborto costituisce reato. Dato che, sul punto, gli attori non avevano fornito neppure delle specifiche allegazioni, limitandosi ad affermare che corrispondeva a regolarità causale il rifiuto della gestante, se correttamente informata, a portare a termine la gravidanza, l’onere della prova non era stato considerato soddisfatto. Né, secondo la corte di merito, sarebbe stato possibile supplire al difetto di prova mediante l’esperimento di una consulenza tecnica d’ufficio. Quanto poi alla posizione del figlio affetto da trisomia 21, era stata negata la sua legittimazione attiva nell’azione risarcitoria contro il medico, sostenuta dai ricorrenti sulla base di un diritto a non nascere se non sano. Avverso la sentenza della corte territoriale, i genitori della bambina avevano dispiegato ricorso in Cassazione. Secondo i ricorrenti, la prova dell’inadempimento del medico sarebbe stata di per sé sufficiente a dimostrare il danno subìto dalla gestante, senza necessità di fornire alcuna ulteriore prova in merito alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 6, L. 194/1978. Ciò in quanto corrisponderebbe “a regolarità causale il rifiuto della gestante, se correttamente informata, a portare a termine la gravidanza“.

Le Sezioni Unite, confermando sul punto la decisione della Corte di merito, hanno respinto tale tesi, sottolineando che nel nostro ordinamento l’aborto costituisce una “possibilità legale” di “natura eccezionale” (sottoposta alla verifica di ben specifici presupposti, i quali “non possono che essere allegati e provati dalla donna, ex art. 2697 cod. civ.”) e ricordando che la L. 194/1978 vieta l’interruzione volontaria di gravidanza “come strumento di pianificazione familiare, o mezzo di controllo delle nascite, e “a fortiori” in funzione eugenetica”. La Corte rileva che le Sezioni Unite:

– “hanno evidenziato che l’onere probatorio posto a carico della gestante, che voglia accedere all’aborto c.d. “terapeutico”, concerne: a) “la rilevante anomalia del nascituro”, b) “l’omessa informazione da parte del medico”; c) “il grave pericolo per la salute psico-fisica della donna”; d) “la scelta abortiva di quest’ultima”, dando atto del fatto che “la prova verte anche su un fatto psichico: e cioè, su uno stato psicologico, un’intenzione, un atteggiamento volitivo della donna, che la legge considera rilevanti”, del quale “non si può dire che esso sia oggetto di prova in senso stretto“;

– “hanno statuito che: “I presupposti della fattispecie facoltizzante non possono che essere allegati e provati dalla donna ex art. 2697 c.c., con un riparto che appare del resto rispettoso del canone della vicinanza della prova“;

– “hanno statuito che la prova “della malattia grave, fisica o psichica, che giustifichi il ricorso all’interruzione della gravidanza, nonché della sua conforme volontà di ricorrervi” può essere data per “praesumptio hominis, rispondente ai requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ.”; in altri termini, hanno statuito che è possibile ricostruire la sussistenza dei suddetti fatti, “sulla base non solo di correlazioni statisticamente ricorrenti, secondo l’id quod plerumque accidit… ma anche di circostanze contingenti, eventualmente anche atipiche emergenti dai dati istruttori raccolti”, tra i quali, hanno indicato ad esempio “il ricorso al consulto medico proprio per conoscere le condizioni di salute del nascituro; le precarie condizioni psico-fisiche della gestante, eventualmente verificabili tramite consulenza tecnica d’ufficio; pregresse manifestazioni di pensiero, in ipotesi, sintomatiche di una propensione all’opzione abortiva in caso di grave malformazione del feto“.

Per tali ragioni, le Sezioni Unite – dopo aver sottolineato che: “il tema d’indagine principale diventa quello delle inferenze che dagli elementi di prova possono essere tratte” hanno cassato la sentenza della corte territoriale nella parte in cui aveva omesso “di prendere in considerazione la possibilità di una prova presuntiva, in concreto desumibile dai fatti allegati. Fatta tale premessa ricostruttiva dell’approdo nomofilattico nella tematica oggetto di causa, la Corte ricorda che: “in tema di ragionamento presuntivo, le Sezioni Unite di questa Corte, già con le note sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 – nello scrutinare il significato del nuovo n. 5 dell’art. 360 cod proc. civ. e “nel farsi carico dell’allarme di parte della dottrina sulla “scomparsa” del controllo sull’applicazione da parte del giudice di merito delle presunzioni hominis” (così testualmente, Cass. n. 17720/2018), avevano sottolineato (paragrafo 14.8.1.) che: “… la peculiare conformazione del controllo sulla motivazione non elimina, sebbene riduca (ma sarebbe meglio dire, trasformi), il controllo sulla sussistenza degli estremi cui l’art. 2729 c.c., comma 1, subordina l’ammissione della presunzione semplice. In realtà è in proposito possibile il sindacato per violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Ciò non solo nell’ipotesi (davvero rara) in cui il giudice abbia direttamente violato la norma in questione deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi su indizi che non siano gravi, precisi e concordanti, ma anche quando egli abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravità, precisione e concordanza, sussumendo, cioè, sotto la previsione dell’art. 2729 c.c., fatti privi dei caratteri legali, e incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della “fattispecie astratta”, ma erroneamente applicata alla “fattispecie concreta“.

Il Collegio rammenta inoltre che le Sezioni Unite con sentenza n. 1785/2018 – nell’indicare le modalità con cui il ragionamento presuntivo ex art. 2729 c.c. può essere censurato ai sensi dell’art. 360 comma primo numero 3 c.p.c. – hanno specificato che:

a) “la gravità allude ad un concetto logico, generale o speciale (cioè, rispondente a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una qualche lex artis), che esprime nient’altro che la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui dato un fatto A noto è probabile che si sia verificato il fatto B“;

b) “la precisione esprime l’idea che l’inferenza probabilistica conduca alla conoscenza del fatto ignoto con un grado di probabilità che si indirizzi solo verso il fatto B e non lasci spazio, sempre al livello della probabilità, ad un indirizzarsi in senso diverso, cioè anche verso un altro o altri fatti“;

c) “la concordanza esprime un requisito del ragionamento presuntivo, che non lo concerne in modo assoluto, cioè di per sé considerato, come invece gli altri due elementi, bensì in modo relativo, cioè nel quadro della possibile sussistenza di altri elementi probatori, volendo esprimere l’idea che, in tanto la presunzione è ammissibile, in quanto indirizzi alla conoscenza del fatto in modo concordante con altri elementi probatori, che, peraltro, possono essere o meno anche altri ragionamenti presuntivi“.

Sul solco tracciato dalle suddette pronunce, la successiva giurisprudenza di legittimità a sezione semplice ha avuto modo di precisare, con specifico riferimento al tema del risarcimento del danno da nascita indesiderata, (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 18327/2023), che: “in tema di risarcimento del “danno da nascita indesiderata”, la prova, incombente sulla danneggiata, della volontà di esercitare la facoltà di interrompere la gravidanza può essere fornita anche mediante presunzioni, le quali devono essere valutate dal giudice secondo un modello “atomistico-analitico”, fondato sul rigoroso esame di ciascun singolo fatto indiziante e sulla successiva valutazione congiunta, complessiva e globale, degli stessi, da compiersi alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale e concordanza“.

Per la Corte tali principi di diritto non sono stati rispettati in esame, avendo la corte territoriale riformato la sentenza del giudice di primo grado (che aveva rilevato la mancata allegazione nei termini preclusivi previsti dal codice di rito della sussistenza del grave pericolo per la salute psichica della donna, nonché l’omissione nei medesimi termini di qualunque attività deduttiva del suddetto presupposto), a) “senza indicarne le ragioni per le quali detta mancata allegazione e detta mancata deduzione sarebbero state erroneamente ritenute: e, così, con motivazione mancante“; b) “con motivazione contraddittoria, ha ritenuto provato che la Sc.An., se avesse conosciuto le malformazioni da cui era purtroppo affetto il feto, avrebbe interrotto la gravidanza, sulla base di manifestazioni di pensiero, che la stessa corte di merito stessa ha ritenuto “non assolutamente precise” c) “ha erroneamente dato rilevanza probatoria esclusiva alla circostanza che la donna si era sottoposta a più di una visita di controllo e a più ecografie, senza considerare che tale elemento di per sé non è univocamente indicativo di volontà abortiva, potendo invece essere astrattamente indicativo della volontà della donna di gestire al meglio la propria gravidanza“; d) “ha riformato la sentenza del giudice di primo grado, (che aveva ritenuto non provati dalla donna i presupposti normativi, che rendono legittimo il ricorso all’interruzione della gravidanza dopo il 90 giorno), senza indicare le ragioni per cui ha ritenuto provato il grave pericolo per la salute psichica della donna (e, in particolare, senza spiegare la portata indiziante e la inferenza probabilistica dei tre indicati elementi, in termini di “presumibile depressione”, peraltro in assenza di c.t.u. psichica): e, così, anche in tal caso con motivazione mancante“; e) “pur ritenendo generica l’allegazione dell’inadempimento contrattuale dell’azienda, ha ritenuto sussistente quest’ultimo, a ben vedere senza neppure identificare l’oggetto della prestazione inadempiuta o imperfettamente adempiuta“; f) “con motivazione apparente, in riforma della sentenza di primo grado e dopo aver disposto una c.t.u. medico legale (che non aveva ravvisato profili di responsabilità medica per i sanitari), ha invece ritenuto provato il colposo inadempimento dei sanitari (si ribadisce, genericamente allegato dalla parte), non soltanto senza spiegare perché abbia assunto una posizione divergente rispetto a quella del suo ausiliario, ma senza neppure fare a questi riferimento; e dovendo definirsi un non consentito paralogismo la conclusione della sussistenza della colpa nell’espletamento degli esami oggetto di obbligazione contrattuale, quale causa del danno patito dalla controparte, in base esclusivamente al fatto che il danno si era poi verificato“.

Il ricorso viene pertanto deciso sulla base dei seguenti principi di diritto:

In tema di responsabilità medica e di risarcimento del danno da nascita indesiderata, poiché l’interruzione volontaria della gravidanza è legittima in evenienze che restano eccezionali, l’impossibilità della scelta della madre di determinarsi a quella, che sia imputabile a negligente carenza informativa del medico curante, può essere fonte di responsabilità civile, sempre che: a) ricorrano i presupposti normativi di cui all’art. 6 della legge 22 maggio 1978 n. 194; b) risulti la volontà della donna di non portare a termine la gravidanza. Il relativo onere della prova ricade sulla gestante, ma può essere assolto anche per via presuntiva, sempre che i presupposti della fattispecie facoltizzante siano stati tempestivamente allegati e siano rispettati i requisiti di cui all’art. 2729 c.c.“.

In tema di ragionamento presuntivo, quando il giudice di merito sussume erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione semplice ex art. 2729 c.c. (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti accertati che non sono invece rispondenti a quei caratteri, il suo ragionamento probatorio è censurabile alla stregua dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e compete, dunque, alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta dal giudice di merito, lo sia stata anche a livello di applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta“.

In tema di presunzioni semplici, di cui all’art. 2729 cod. civ., è deducibile come vizio di violazione e falsa applicazione di norma di diritto ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. l’ipotesi in cui il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza da esso della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 cod. civ. fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacché dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza“.

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Avvocato Massimo Palisi - Padova

Nato a Catanzaro in data 24 aprile 1969, consegue la maturità classica (voto 60/60) e la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Padova (voto 105/110). Viene eletto per il biennio 1992/94 Segretario Nazionale della Fuci (Federazione Universitaria Cattolici Italiani).

Avvocato dal 1999, Cassazionista dal 2016, svolge la propria attività a livello nazionale, operando nell’ambito del diritto sostanziale e processuale civile, con particolare elezione per le tematiche relative alla responsabilità civile (sia in ambito contrattuale che extracontrattuale), alla tutela della persona e dei consumatori in generale (e sotto il profilo risarcitorio in particolare), al diritto del lavoro, al diritto delle assicurazione. Svolge inoltre assistenza a favore delle vittime nell’ambito delle procedure penali.

Ha deciso di non essere fiduciario di alcuna compagnia di assicurazione e/o banche, per non intaccare la propria opera di tutela nei confronti dei danneggiati e dei consumatori.

Ha collaborato, nel primo decennio del 2000, con Cittadinanzattiva Onlus, risultando membro: a) del gruppo studio “Assicurazioni ” del CNCU, istituito presso il Ministero delle Attività Produttive; b) del collegio del Nord Italia dei conciliatori istituito presso il gruppo Banca Intesa, c) del gruppo di studio istituito presso l’ANIA per l’emanazione del nuovo Codice delle Assicurazioni. Ha svolto corsi seminariali in tema assicurativo a livello nazionale, promossi e patrocinati dal Ministero delle Attività Produttive.

È stato relatore in diversi convegni giuridici di carattere nazionale.

Avvocato Evenlina Piraino - Padova

Nata a Cosenza in data 29 settembre 1981, consegue il diploma di maturità al liceo scientifico (voto 100/100) e si laurea nel 2006, presso l’Università di Cosenza (UNICAL), in giurisprudenza (voto 108/110) discutendo una tesi nell’ambito del diritto del lavoro (“Il nuovo sistema di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: Decreto Legislativo n. 38/2000′) e del diritto assicurativo (“Il sistema assicurativo sociale in ambito europeo”).

È avvocato dal 2009; fa parte dello studio dal 2013. Si occupa prevalentemente di diritto civile, sostanziale e processuale, diritto del lavoro, diritto di famiglia, procedure stragiudiziali e di mediazione. Nell’ambito della materia di elezione dello studio legale, si interessa in particolare degli istituti di responsabilità civile speciale, di quello di natura professionale, oltre alla tutela degli animali e dell’ambiente, a vantaggio del quale svolge anche attività di volontariato sociale.

È attiva nell’ambito del diritto di famiglia e della tutela dei minori, nonché della tutela dei diritti della persona in generale, dei consumatori e della proprietà intellettuale.

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